IL FASCINO DELL’OSPITALITÀ

IL MANIFESTO DI OSPITALIA

Il nostro manifesto si basa sui valori fondanti dell’Ospitalità Italiana, un patrimonio di valori unico nel mondo.

  Ospitalità è un bene comune, un patrimonio collettivo.

  Tutti possono essere ospitali, a prescindere dal ceto sociale.

  Il sorriso è lo specchio dell’ospitalità.

  Ospitalità è un sentimento verso l’altro, è volere il suo bene.

  Ospitalità è un grande costume civile, uno stile che unisce gli uomini.

  Ospitalità è uno scambio di emozioni, un’esperienza di uguaglianza.

  Ospitare è un abbraccio infinito che unisce gli uomini.

  Ospitalità è amare ed essere orgogliosi del proprio territorio.

Ospitalità è sostanza attraverso la forma.

  Ospitalità è servire con dignità.

“Quale definizione potrebbe andar bene per l’ospitalità?
– chiese il più giovane dei discepoli al maestro.
Ogni definizione è di per sé una riduzione e l’ospitalità non sopporta nessuna limitazione
– rispose il maestro.”

Edmond Jabès, Il libro dell’ospitalità.

Esiste uno spazio per una concezione profonda dell’ospitalità.

L’ospitalità è un grande costume civile, da costruire e diffondere. Un costume come un bene corale e comune: corale perché l’ospitalità è la matrice di una comunità, l’evidenza del suo farsi ed esistere, un modo di essere di tutti; comune perché è una matrice della cura per territori e abitanti, tempo presente e tempo a venire, una cura che riguarda imprese, scuola, formazione, cittadini e istituzioni. Ed è un bene comune, infine, perché è essa stessa un bene che va difeso, un modo di vivere, una cultura, che rende possibili tutte le forme di ospitalità. Un valore al quale educare.

L’ospitalità è cura.

La cura è a sua volta matrice di qualità, quindi qualcosa di specifico e singolare di ciascun soggetto: della natura, dell’economia, delle vite, della formazione, del lavoro ben fatto. L’ospitalità come accoglienza delle specificità valoriali e come ambizione e speranza di sapere costruire una loro coralità. Ospitare è comunicare e ascoltare, in tutte le sue accezioni.

Costruire e raccontare l’ospitalità come immenso bene comune, significa potenziare lo sviluppo civile ed economico.

L’Italia, paese ineguagliabile per la ricchezza di beni che offre, per la ricchezza delle differenze che riescono a essere comuni e comunicanti, ha bisogno di sostenere questo suo bene, il saper essere “ospitale”.

Ospitare è il costume della democrazia.

L’ospitalità rintraccia il significato profondo nella reciprocità, nel legame di chi ospita e di chi è ospitato, nella relazione di dono e controdono: la reciprocità del patto di ospitalità è all’origine del doppio significato della parola, ospite è chi accoglie e chi è accolto. L’ospitalità è pertanto un processo di scambio e di eguaglianza. In questo senso l’ospitalità è un’istituzione che costruisce comunità, ed è un elemento della civiltà e del suo processo, ancor prima della sua trasposizione in termini di diritto. L’ospitalità ha quindi luogo e forma nelle relazioni umane in ogni contesto, impedisce che si resti straniero l’uno all’altro, non nasce dalla paura ma dall’attesa; non ha una sede in luoghi, tempi e professioni a essa specificamente deputati. Il suo fine non è la tolleranza, ma la mescolanza.

L’ospitalità ha bisogno di territori di riferimento, essa cura e produce territorio.

Il territorio non è solo un dato fisico, ma è un dato emotivo e storico. È la casa comune dell’umanità.

La prima cura dell’umanità è quella di proteggere il territorio. L’uomo riconoscendo il proprio limite plasma i territori come un’opera d’arte. I territori sono la natura, natura protetta dagli uomini a partire dai loro bisogni e dai loro sogni. Non potrebbe esserci ospitalità in un territorio che cancelli le orme degli uomini che lo hanno lasciato in eredità. L’anima dei luoghi che ci ospitano non è una essenza ineffabile, è l’emozione del riconoscimento di presenze ed esempi di eredità virtuose che siamo chiamati a continuare. Solo il riconoscimento del circolo virtuoso tra uomo e ambiente farà crescere una coscienza dei luoghi, la consapevolezza di una identità dinamica, che costruisce una comunità di riferimento che coralmente la alimenta.

nche le origini si scelgono. Il territorio è un’eredità, è fatto di tempo. Ma anche l’origine, la radice in cui ci illudiamo di trovare il sedimento primo della nostra identità, è, come ogni tradizione, un’invenzione, nel senso che siamo noi odierni a costruire il nostro albero genealogico scegliendo madri e padri. Noi nasciamo prima delle nostre origini. L’eccesso identitario cerca di individuare la purezza dell’autoctonia, laddove bisogna imparare a riconoscere e a ospitare dentro di noi la complessità dei tempi che fanno la nostra storia, le differenze e i conflitti tra le varie scelte possibili, i debiti e i crediti che abbiamo con altri uomini. Ospitare nei territori significa ospitare nei suoi tempi, fare in modo che dietro monumenti e paesaggi, arte e opere si scorgano i tempi degli uomini, la storia che c’è dentro le cose, le scelte virtuose che sono state fatte e gli errori commessi. Ospitalità significa imparare a dialogare con i tempi, significa ricercare una forma di educazione alla complessità dello sguardo e alla responsabilità delle azioni.
La formazione all’ospitalità, come bene comune in sé e come strumento in grado di valorizzare i beni del proprio territorio, è importante. Una formazione che sia in grado di formare intorno a un valore che sta prima delle tecniche, a un valore identitario come rizoma invece che come radice.

Noi abbiamo selezionato le eredità che ci sono state lasciate, le abbiamo scelte nella continuità di ciò che ci appariva buono, bello e giusto. Questa libertà, che è un dono, dobbiamo lasciare a chi verrà dopo. Vecchi e giovani si ospitano reciprocamente, a partire dall’ascolto e dal riconoscimento che gli spazi della parola possano dire cose sorprendenti. In questa chiave la scuola e la formazione, la comunità educante nel suo insieme, devono avere l’impronta dell’ospitalità. Una scuola e una formazione ospitali devono partire da questo principio: del futuro non esistono fatti ma solo narrazioni. Una narrazione costruita e riempita dalle nuove generazioni.

Ospitalità è ospitare dialogicamente la parola.

La scuola e la formazione devono riportare il futuro nel regno del possibile, liberandolo da un realismo che spesso si autodefinisce come una divinità immodificabile…

L’ospitalità è matrice di sviluppo economico.

Il territorio è un prodotto corale della cura. Le imprese ospitali accolgono in sé, come un bene e come fonte di produzione di ricchezza, la storia virtuosa racchiusa nei loro stessi prodotti, che si aprono al racconto e alla testimonianza dei saperi che sono stati necessari per inventarli nella loro specificità locale, dei tempi lunghi che si annidano anche nelle più estemporanee delle innovazioni. L’impresa locale è tale se ha a cuore lo sviluppo integrale del territorio, se cerca e costruisce nessi corali con attori anche non economici, che pure agiscono per lo sviluppo della comunità di riferimento. Un’ impresa economica è sempre anche una impresa culturale, perché attiva energie, perché produce un bene importante che è la coscienza del luogo. Il territorio come opera d’arte umana ospita attraverso i prodotti dei suoi artigiani, attraverso la visibilità dei loro saperi, attraverso le narrazioni non solo tecniche, i flussi del suo costruirsi. Un prodotto parlerà anche degli uomini che lo hanno creato, col contributo di altri uomini, nel corso del tempo. L’impresa ospitale si riconosce in questa vocazione d’essere agente cooperativo di sviluppo di comunità, impegnata in una grande opera di produzione di ricchezza e di saperi all’interno di una visione complessiva di sviluppo umano, e insieme impegnata nella salvaguardia degli equilibri di tutto il sistema biologico e antropologico.